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PERSONE RICONOSCIUTE COME TALI
Coordinamento Leonardo Peracchi (Coop. Animazione Valdocco - Torino)

PERSONE RICOSCIUTE COME TALI

L'enfasi riservata, negli anni passati, all'interno delle progettazioni educative dei servizi per disabili alla "centralità" della persona, alla presa in carico globale, all'ascolto e alla considerazione dei desideri e della volontà dell'utente, possono essere interpretati come dei segnali, più o meno consapevoli, di quanto l'organizzazione dei servizi percepisca il rischio di ripiegarsi su se stessa, dando vita a micro (o meno) processi di istituzionalizzazione, a prescindere da dimensioni e orientamenti.

Inoltre possiamo ammettere di trovarci a sostenere, ormai da almeno due decenni, una graduale contrazione delle risorse a disposizione, spesso accompagnata dall'invito a contenere i costi e al contempo a migliorare la qualità dei servizi, incoraggiando gli operatori ad intraprendere questa "sfida", uno slogan che domina svariati scenari, compreso l'ambito del sociale, quando in verità non c'è proprio nessuno né qualcosa da sfidare.
Nelle parole che usiamo spesso si celano e svelano timori e propensioni alla difesa di qualcosa che si ha la sensazione di non saper preservare a sufficienza, alla fine, come genere umano.
Al di là di qualsiasi ombra di responsabilità possiamo tuttavia comprendere per primi, da operatori sociali, quanto sia necessario richiamare continuamente se stessi, i servizi e le organizzazioni pubbliche e private che garantiscono tutela e cura di persone con fragilità manifeste all'attenzione rivolta alla persona, intesa nella sua dimensione di unicità e portatore di vita.

Il trascinamento e talvolta la deriva verso modelli organizzativi poco flessibili, con pratiche e processi sempre maggiormente attenti alle formalizzazioni, necessarie certamente in ordine alla sicurezza sui luoghi di lavoro, ma talvolta superflue ed eccessive che finiscono per stringere nei propri gangli slanci e idealità realizzabili, tolgono respiro a quell'organismo vivente che di fatto è un servizio, con i suoi operatori (persone, come tutti di non manifesta fragilità), ospiti o utenti, volontari, interlocutori e visitatori, parenti, famiglie, amici.
Talvolta le risorse a disposizione, come detto, sono davvero esigue, soprattutto dove vanno a ledere i rapporti cosiddetti educativi o assistenziali: negli ultimi anni le coperture di servizio sono spesse definite in minutaggio, in un frazionamento del tempo che tende a scomporre le unità psichiche e corporali delle persone in quantità percentili, nel tentativo di garantire standard sostenibili ma spesso bugiarde perché le persone sono tali anche in quanto indivisibili. E come tali andrebbero riconosciute.
Infine non possiamo negare, innanzitutto a noi stessi come operatori, soprattutto là dove non sostenuti da percorsi formativi permanenti, una inclinazione ad affrontare gli elementi di complessità di una professione fra le più difficili, finemente usurante, non solo dal punto di vista fisico, con assestamenti difensivi e di preservazione delle energie psico-fisiche. Più spesso è l'ordine di senso dell'agire quotidiano che diviene soggetto ad usura negli operatori, nella difficoltà di percepire e cogliere i frutti di tanto lavoro, un po' per nostra stessa limitatezza di vedute, e visioni, e un po' per l'inconfutabile e umano limite nel concepire proprio il limite come parte integrante della vita, al di là di ogni retorica.
Fra queste dimensioni, politiche, organizzative e professionali, non meno che umane, gli elementi che contribuiscono al rischio di una parziale perdita di attenzione alla persona, che dovrebbe essere mission imprescindibile dei servizi, non è giustificabile ma comprensibile. Bisogna essere in grado di mantenere alta la tensione professionale e formativa, cercando di individuare alcuni focus sugli elementi di interferenza e/o di interpretazione culturale e concettuale che ci allontanano, come professionisti, dalla persona di cui ci dovremmo prendere cura. In questo senso dobbiamo cercare di percepire questa distanza, e farne ragione e oggetto di lavoro.

Possiamo, fra i tanti, mettere in rilievo tre fattori: il tempo; la dimensione del coinvolgimento, per certi versi politica, della relazione della persona disabile come interlocutore; la trasposizione della vicinanza frontale con l'operatore verso una vicinanza laterale di affiancamento, reciproco, verso esperienze e luoghi inesplorati. In altri termini possiamo mantenere una attenzione alla persona, riconosciuta come tale, quando ci concediamo il tempo di farlo, quando consideriamo la persona disabile un interlocutore (e quindi considerandoci a nostra volta un suo interlocutore), e quando infine siamo disponibili ad intraprendere con la persona un viaggio nuovo, un percorso valido ed interessante per entrambi.
Queste condizioni, a nostro avviso, non garantiscono ripari sicuri, anzi. Ma predispongono processi di approfondimento reciproco di conoscenza della persona e di sé nella relazione con l'altro, come peraltro può accadere in ogni relazione, che permettono, pur all'interno di una logica di servizio, professionale, di gettare le basi per processi di crescita, intesi anche come patrimoni di condivisione sociale.
Quindi le persone a cui ci riferiamo sono persone con una storia che ha un nome che ha una storia, di cui farci custodi a fronte di una fragilità conclamata, ma che, più consapevolmente, ci chiama ad un ordine di custodia ulteriore, della vita e delle sue essenze, oltre che delle sue molteplici forme.
Tempo, si diceva.

Tempo, quel tempo che tanto si reclama quando accenniamo ad ogni nostra esistenza. Abbiamo bisogno di più tempo per prenderci cura delle persone che ci sono care e delle cose che ci piace fare. Eppure spesso non è indicato fra le risorse che ci mancano nei servizi. Si fa più spesso cenno alle risorse economiche, intese come quelle finanziarie che permettono lo svolgimento delle attività, degli strumenti e dei materiali, delle locazioni. Tutte cose necessarie. Ma il più delle volte è il tempo, quella risorsa che permette l'ascolto attento, l'osservazione, lo spazio per soluzioni in autonomia, per l'errore, per lo scambio, per il tempo che ci viene restituito nell'attesa di una risposta, un tempo necessario a chi deve richiamare a sé diverse risorse personali e abilità per stare nelle situazioni, agire ed interagire. Spesso il tempo, calmo e congruo per fare le cose, è anche l'elemento più importante in ordine alla sicurezza e alla tutela. Invece è una circostanza più frequente di quanto si possa immaginare quella dove il ritmo delle attività, dei trasferimenti, della resa per gli obiettivi individuati, sovrastano nell'agire quotidiano una dimensione più tranquilla, più adeguata alle intese e al rispetto dei propri tempi.
La persona come interlocutore.

La domanda è semplice, in fondo. Chi sarebbe disponibile e contento di trascorrere una considerevole porzione del proprio tempo con qualcuno che non ci considererebbe un interlocutore? E a fronte di questa perplessità si pongono due condizioni fondamentali: da una parte un pensiero sulla reale capacità da parte degli operatori di considerare la persona disabile come un portatore, a suo modo, con i propri mezzi a disposizione, di un contributo intellettivo, di una dimensione elaborativa del reale, della capacità di essere propositivi e di operare scelte, anche a livello culturale, sociale; quindi dall'altra a coinvolgere la persona disabile in un processo decisionale reale, in una trasposizione, attraverso l'assunzione di ruoli, di un asse di concertazione che da verticale si pone in una orizzontalità, dove ognuno porta il proprio contributo, del tutto estranee a forme di prossimità finte. E In questo senso ad assumere una funzione anche politica.
Infine, per quanto riguarda questo breve contributo, il viaggio.

Le probabilità di rendere la conoscenza, che è tale solo se reciproca, una dimensione reale e profonda, deriva dalle possibilità che ci si concede, e si trova il coraggio di affrontare, di percorre percorsi che si svelano ai viandanti allo stesso tempo, pur considerando elementi di guida ineluttabili secondo la professione, per tutela e facilitazione, ma dove soprattutto gli aspetti emozionali prevalgono, ed è proprio attraverso questi che ci si manifesta il proprio nocciolo costitutivo, e si realizza in parte il proprio percorso di definizione identitaria-
Questo percorso introduce, senza finzioni e con onestà, verso dimensioni di riconoscimento sociale da parte di altri interlocutore, forse più importanti, che possono accompagnare ed introdurre ad esperienze di valore sociale. Da cui, tra l'altro, l'operatore è tutt'altro che escluso.


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