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CULTURA
Coordinamento Roberto Parmeggiani (Coop. Accaparlante - Bologna)

Fare ed Essere cultura - Il diritto alle rose

L'Articolo 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità impegna gli stati che l'hanno ratificata a riconoscere e garantire il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di eguaglianza con gli altri alla vita culturale.
Questo diritto mira a garantire un accesso che sia il più generalizzato per tutti, eliminando gli ostacoli fisici o di comprensione e favorendo una maggiore abitudine alla partecipazione attiva alla vita culturale.
Avere accesso alla cultura, infatti, significa nel concreto poter entrare in un cinema, in un museo o in un teatro senza barriere incontrando tutti gli ausili utili alla conoscenza e comprensione dei loro contenuti oppure poter leggere un libro adattato alle singole difficoltà o ancora ricevere le giuste informazioni che permettano di usufruire appieno di una manifestazione.
Significa anche, però, permettere alle persone con disabilità di essere protagoniste attive delle scene culturali non solo in quanto spettatori ma anche come promotori, gestori e creatori di proposte culturali: dirigere un film, scrivere un libro, coordinare un festival o gestire un servizio quale una biblioteca o un cinema.

Dal fare cultura...

Questo significa Fare Cultura, partecipare e costruire attivamente il contesto culturale nel quale si è inseriti. Ovviamente, ciò è possibile solo investendo risorse e offrendo strumenti, legislativi ed economici, organizzativi e tecnici, che permettano alle persone singole e ai gruppi - associazioni, fondazioni, cooperative - di poter fare in autonomia che non significa far da soli, senza l'aiuto di nessuno ma essere messi nelle condizioni di poter attivare le singole abilità.

Ma perché è importante permettere alle persone di accedere alla cultura?
Si tratta solo di un diritto da far rispettare perché ci si possa definire tutti uguali?
Con un gioco di parole che ci aiuta a uscire da risposte scontate o troppo banali, ci piace affermare che accedere alla cultura è importante perché la cultura è un accesso.
Lo è perchè favorisce una maggiore inclusione in quanto consente di aumentare, in maniera spontanea, il livello di informazioni e conoscenze utili alla comprensione del contemporaneo, perché permette di fare comunità e socialità attraverso la valorizzazione delle proprie competenze, sia quando "spettatori" ai quali vengono riconosciuti tempi e modalità personali sia quando "protagonisti" sviluppando o consolidando abilità specifiche e, infine, perché la relazione con la bellezza, di cui la cultura è prima messaggera, è un'esperienza che contribuisce fortemente, non solo al benessere psicologico, ma anche alla formazione umana.

... all'essere cultura!

Tutto ciò porta dal fare cultura, che è ciò che abbiamo tentato di descrivere sopra, all'Essere cultura, cioè la condizione di chi riesce a determinare cambiamenti reali, concreti o appunto culturali, che diventano un vantaggio per tutti. L'essere cultura è al centro, per esempio, della legge sull'inclusione scolastica che da oltre quarant'anni, non solo permette alle persone con disabilità di frequentare le scuole di tutti ma, soprattutto, garantisce a tutti gli studenti un'educazione di maggiore qualità.
Il fare e l'essere non devono essere considerati come due aspetti opposti o concorrenziali ma come due azioni complementari, interconnesse e necessarie per lo sviluppo l'una dell'altra.



Alcuni nodi su cui riflettere

Cultura o svago?

Scriveva Hannah Arendt che La società di massa non vuole cultura, ma svago. Se ciò è vero per tutti i cittadini che si ritrovano a confondere e spesso a identificare l'esperienza culturale con l'assenza di problemi, lo è ancora di più se prendiamo in considerazione le persone con disabilità. Nonostante negli ultimi anni siano varie le esperienze che dimostrano come sia possibile Fare e Essere cultura in modo attivo e significativo, esiste ancora il pensiero che considera la cultura come pura attività di svago, utile a far passare il tempo o, anche quando si è permesso alle persone con disabilità di avere un ruolo attivo - ad esempio salendo su un palco - accontentandosi di obiettivi terapeutici piuttosto che di una vera valorizzarne delle abilità, degli interessi, delle passioni o delle aspirazioni.
Condividere esperienze virtuose trasformandole in buone prassi a cui riferirsi nella costruzione di nuove progettualità è solo il primo passo per riconoscere alla cultura la complessità di cui è portatrice.

Un ruolo attivo

Cosa intendiamo con ruolo attivo della persona con disabilità? Non di certo una specie di normalizzazione che porti una persona a fare ed essere come gli altri. Piuttosto ha a che fare con l'idea che ogni cittadino ha il diritto e il dovere di contribuire al progresso materiale o spirituale della società (Art. 4 Costituzione Italiana) e che per farlo abbia bisogno che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Art. 3 Costituzione Italiana)
Anche in questo caso il discorso vale per tutti i cittadini. Di certo, però, la disabilità diventa un ostacolo ulteriore se non considerata o se affrontata solo da un punto di vista assistenziale, necessario ma non esaustivo. Riconoscere un ruolo attivo in ambito culturale vuol dire intervenire sul contesto perché diventi promotore di questo ruolo, favorendolo con regole e adattamenti che comunque saranno un vantaggio per tutti.
Valore economico

Con la cultura non si mangia, è uno degli slogan più abusati e inoltre uno dei più falsi. Sono ormai tante le esperienze in cui l'investimento in servizi o progetti culturali corrisponde anche a un ritorno economico. Pensare al rapporto tra disabilità e cultura non può prescindere anche da una riflessione sul valore economico delle scelte. Fermo restando, infatti, il valore sociale che rimane come fondamenta di ogni altra scelta, è opportuno imparare a perseguire il valore economico delle nostre progettualità. Questo ha due obiettivi: il primo riguarda la possibilità concreta di strutturare progetti che prevedano il riconoscimento di un contributo economico a chi lavora per il progetto; il secondo, legato al primo, è l'importanza di riconoscere alle persone con disabilità coinvolte, spettatori o protagonisti, le competenze che mettono in opera. Non si tratta infatti di un passatempo ma di un vero e proprio lavoro.
Bisogni secondari

La bellezza, la cura, il divertimento, il piacere, il vezzo e così via, sono considerati bisogni secondari. Non primari come l'alimentarsi o il curarsi, per esempio, ma di minor valore, meno necessari. Questo atteggiamento ci porta ancora a pensare alla cultura come una risposta ai quei bisogni secondari meno impellenti e quindi procrastinabili. Eppure sappiamo che la relazione con il bello, solo per generalizzare, è una parte fondamentale per una vera qualità della vita. Ecco perchè è indispensabile affermare continuamente il valore di tutte le esperienze perché, come dicevano le donne in lotta per il diritto al voto: Ciò che la donna che lavora vuole è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere - il diritto alla vita così come ce l'ha la donna ricca, al sole e alla musica e all'arte. Voi non avete niente che anche l'operaia più umile non abbia il diritto di avere. L'operaia deve avere il pane, ma deve avere anche le rose.


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